Quando sembra che tutto sia perduto in ambito musicale, ecco che improvvisamente ti imbatti in quella novità che ti scuote dentro e ti fa riacquistare fiducia nella musica e nella vita stessa. È quello che mi è successo ascoltando il lavoro di questa band caratteristica, dal curioso nome "Di Noi Stessi e Altri Mondi": un gruppo per cui il termine “alternativo” vale ancora qualcosa e non è usato certamente a caso.

Di noi Stessi e Altri Mondi è una band anomala in questi strani tempi: mi sento davvero in sintonia con la loro proposta musicale dato che, il loro, è un genere che mi piace molto e che sento mio per un sacco di motivi che non starò ad elencare; sta di fatto che questi ragazzi hanno davvero del talento genuino.

Ma andiamo per ordine.

DI Noi Stessi e Altri Mondi nascono nel 2015 da un'idea di Marco Guerini (voce), Mattia Zanotti (chitarra, synth) e Thomas Botter (batteria), ai quali si è aggiunto poi Francesco Tavoldini (alle tastiere e synth).

Il genere musicale proposto dal gruppo potrebbe essere assimilato ad una sorta di alternative post rock con la voce narrante in primo piano; tuttavia questa definizione potrebbe risultare riduttiva, in quanto nella proposta del quartetto ci sono troppi elementi da poter ingabbiare in una sola definizione.

Ad un primo ascolto vengono in mente sicuramente i Massimo Volume per l'approccio di questi ragazzi alla materia musicale: ad una musica rarefatta e sognante si sposa un reading molto intelligente e poetico, visionario se vogliamo. Tuttavia se è vero – per loro stessa ammissione – che il genere trattato rimandi come associazione ai “padri indiscussi” del genere in Italia, è anche vero che la band ha una propria personalità che solo in parte può essere ricollegata ai bolognesi guidati da Emidio Clementi, in quanto il gruppo sembra puntare su un'introspezione molto più luminosa e meno dark, seppur sempre all'insegna dell'estrema qualità poetica e sonora.

Andiamo a scoprire il contenuto del disco.

"Nuvole" è il primo brano, ed è anche il singolo estratto. Bellissime chitarre in evidenza in un'atmosfera eterea e sognante, tra post rock e soffice psichedelia, nella quale fanno capolino le note malinconiche di un pianoforte. Su tutto questo si stagliano le interessanti meditazioni di Marco, mai banali, in bilico tra curiosa riflessione e introspezione ("appartengo ai passanti, alle persone che incontro, nell'andirivieni / nei miei viaggi di tutti i giorni / non vi appartengo, non mi appartenete").

"Neruda", subito dopo, è una traccia estremamente rarefatta e notturna, dominata da misteriosi synth: è il brano in cui maggiormente la chitarra mi ricorda quella di Egle Sommacal (ad ogni modo più nel periodo con gli Ulan Bator che non quello con i Massimo Volume, a onor del vero), ma è solo un breve rimando, perché il brano assume presto vita propria. È una traccia molto poetica e in un certo senso romantica: un vero e proprio racconto musicato.

La terza traccia ,”Ode”, è dominata ancora una volta dalla poesia (“il suo viso dalla polvere pare quasi rasserenato / come il cielo che sopra di lei giace / e le fa da vestito / non c’è mai stato giorno più adatto in cui ad alta voce poter cantare / che la bellezza del mondo è una bellezza mortale”) ed ha diverse anime che si riflettono specularmente: momenti pacati affidati al pianoforte si alternano a improvvise asperità chitarristiche nel ritornello, per poi tramutarsi nuovamente in strofe rilassate – il tutto solcato da un lieve synth sullo sfondo.

Veneri dei treni”, successivamente, è pura introspezione struggente, in cui il pianoforte e la chitarra tessono trame emozionali all’unisono, mentre le capacità descrittive non vengono mai meno (“la vede salire ogni giorno in treno / e la rincorre fin dentro al vagone / la guarda parlare, ridere / osservare il grande mondo che veloce scorre lungo i bordi di quella freccia che attraversa cieli tersi”).

Cieli grigi” chiude questo breve viaggio sonoro in maniera leggermente malinconica, parlando di solitudine e meditazione: la musica traduce al meglio le osservazioni personali del testo (anche qua c’è un alternarsi di momenti pacati, ad altri più “taglienti”, senza sfociare nel superfluo).

Sono molto felice che esista una band del genere: auguro a questi ragazzi tutto il meglio possibile e spero di ascoltarli presto anche dal vivo. Il loro genere affascina e culla, cura le ferite dell’anima ed è estremamente interessante: non è certamente cosa da poco al giorno d’oggi.

Musica che sa emozionare per chi ama ancora farlo: fidatevi, non rimarrete delusi.

Francesco Lenzi