Ci sono degli artisti che sono talmente "trasparenti" e "reali" da spolverare ciò in ogni atto che compiono e... forse è proprio questo il loro bello.

William Fitzsimmons è indubbiamente uno di quegli artisti. Fin dalle prime note del suo album "Mission Bell", si capisce di trovarsi davanti ad un cantautore dall'estrema sensibilità e sincerità. Il lavoro in questione scava un po' nella vita privata dell'artista, partecipe di esperienze sia dolorose che catartiche, e lo fa con una limpidezza quasi disarmante. Il sound ruota intorno ad un folk rock alternativo e si sposa ottimamente alle liriche.

"Second hand smoke" apre l'album ed è anche il primo singolo estratto (di cui esiste un semplice ma suggestivo videoclip): è una prima riflessione su momenti di vita reali, tra malinconia e ricordi personali, sorretta da una morbida atmosfera nella quale si staglia una slide vagamente Harrisoniana.

"Distant lovers" è incentrata sulla difficoltà di alcune relazioni: il mood è sempre rarefatto e morbido, grazie al cantato sognante e ai delicati arpeggi di chitarra acustica in evidenza.

"17+ forever" è puro spleen poetico in cui William narra la storia di una ragazza suicida. Ispirata da alcuni racconti di ragazzi finiti in tragedia dopo essere stati "bullizzati", la canzone è molto piacevole ed ariosa, seppur sorretta da una caratteristica malinconia di fondo.

Le difficoltà nei rapporti personali ritornano sul ritratto di "Angela", brano nel quale si fa sentire un po' di “elettricità” – sempre molto raffinata ed in punta di piedi – con delle belle chitarre farcite di delay e riverberi (molto evocativi i cori femminili, che qua e là fanno capolino anche in altri momenti del disco).

"In the light" scava nei meandri di una relazione difficile: è la vera storia di un amico dello stesso William, raccontata con onestà e senza pregiudizi, su un tappeto morbido e avvolgente.

Fitzsimmons è un grande osservatore della realtà che lo circonda ed un grande sostenitore dei "losers" e degli "outsiders": questo traspare in maniera evidente nella traccia successiva, "Lovely", ispirata alla vera storia di Catherine Cesnik, una suora che è stata uccisa per il suo impegno nel difendere alcuni ragazzi della sua comunità, vittime di pedofilia all’interno della comunità “spirituale” (storia di drammatica attualità ed anche uno dei primi casi di denuncia del genere, almeno tra quelli dichiarati ufficialmente, risalente al 1969).

Le ferite sgorgano aperte su "Never really mine", una riflessione sull'infedeltà: molto sottile e anche moderna, quasi a non voler disturbare (ma questo, d'altronde, è uno dei punti di forza di William).

"Leave Her" gioca coi chiaroscuri ed è una ballata acustica sognante. La difficoltà delle relazioni è uno dei capisaldi che ruotano intorno a molti momenti del disco, come avrete capito: William stesso è appena reduce dal suo secondo matrimonio e non lo nasconde, ma anzi narra queste storie con estrema onestà intellettuale e lucidità.

"Wait for me" è una domanda carica di speranza e difatti è uno dei momenti più solari dell'album, sebbene traspaia ancora una volta, una certa tristezza di fondo.

La conclusiva "Afterlife" chiude il lavoro con sentimenti più ombrosi rispetto al resto della raccolta, che la rende affascinante e suggestiva (si ode persino un violino spiritato, mentre la sezione ritmica si fa dilatata e misteriosa).

William Fitzsimmons è probabilmente uno degli ultimi grandi songwriters in circolazione: le sue storie di vita vissuta sono reali e cantate con altrettanto sincero coinvolgimento. L'impronta di fondo fa il resto, dacché estremamente curata in tutti i particolari, tra analogico e digitale. Di fronte a tutto si staglia la voce personalissima dell'autore, trasognata e tormentata, però "mai vinta".

Un lavoro consigliato vivamente ed un cantautore da tenere d'occhio: farà sicuramente parlare di sé.

Francesco Lenzi