Quando la musica è la tua passione e non è solamente un "mestiere" come tanti, è chiaro che essa ritorni a galla continuamente, anche a distanza di tempo: anche se si è costretti a fare altro per vivere; anche se la tua band si è sciolta; perfino se hai avuto momenti di lunghe pause.

Questa premessa è un pensiero personale che mi tocca intimamente, ma sono sicuro che non dev'essere dissimile dalle esperienze artistiche di Roberto My, storico musicista della scena indie italiana, che torna con questo nuovo "Flares" dopo anni di apparente pausa.

Andiamo per ordine e facciamo un po' di chiarezza insieme, in barba alle interpretazioni personali, che potrebbero lasciare il tempo che trovano.

Roberto faceva parte di una band storica del rock alternativo psichedelico italiano, ovvero i Volcano Heart; con loro ha pubblicato una manciata di dischi – ed altrettanti demo in precedenza – oltre ad aver partecipato ad alcune compilation importanti della scena nostrana.

Dopo lo scioglimento del gruppo però – come accennavo in apertura – la passione per la musica non si è fortunatamente sopita: inizialmente Roberto si è cimentato in riletture “unplugged” dei vecchi brani dei Volcano Heart, ma la voglia di continuare a scrivere e di proporre quindi materiale nuovo è restata inalterata: seppur a qualche anno di distanza, il risultato si è concretizzato finalmente in "Flares", il primo disco solista dell'artista in questione.

"Flares" è un lavoro che brilla di luce propria, un album che ci riporta ad un periodo in cui la scena alternative era vivissima ed “indie” aveva probabilmente un significato diverso da come lo intendiamo oggi, tuttavia non si tratta di un lavoro nostalgico, perché suona freschissimo e nuovo, seppur con dei chiari riferimenti in testa... e non potrebbe essere altrimenti.

"Motherland" apre il disco con chitarre sfavillanti ed una melodia rilassata: la parola d'ordine è introspezione, secondo caleidoscopiche angolazioni.

"World of sound" è un altro brano disteso e scorrevole:una visione personale della psichedelia cantautorale che riporta alla mente la scena alternativa americana degli anni '90, benché rivisitata e corretta mediante i canoni dei giorni nostri. È partecipe di melodie che colpiscono, attorniate da una sezione ritmica precisa ed incalzante – ma non aggressiva – arricchita da maestose chitarre in evidenza.

"Last summer ruins" è una canzone che pare partire con mood malinconico e notturno, salvo poi tramutarsi in sonorità ruvide e accattivanti, le quali sembrano lasciar intendere che un certo tipo di rock non è mai morto – fortunatamente!

Anche "My sign of you" è un brano dalle due anime: è energico e melodico; ha la forza della hit. Si apre poi ad una curiosa coda psichedelica sul finale in cui svetta un piano elettrico molto settantiano e un sassofono intenso – suonati dagli "ospiti" Federico Festino e Gianluca Varone – a cui si intrecciano interessanti ed efficaci ricami chitarristici.

"Black Sky" ha un mood particolare ed è coerentemente riflessiva, senza rinunciare alla trama e a coriacee chitarre (notevole il solo centrale ndr). Un mix intrigante tra il Neil Young di "On the beach", i God Machine più tranquilli, gli Screaming Trees e certe geometrie acustiche stile Geoff Farina.

"Congo" chiude l'album ed è una traccia insolito, intrigante, completamente strumentale. In grande spolvero la band, che – è bene ricordarlo – oltre a Roberto alla chitarra (e negli altri brani, ovviamente, alla voce), vede in line-up Micol Del Pozzo al basso e Pasquale Montesano alla batteria.

Un album eccellente dunque, che rivela come una precisa maniera di fare musica sia viva e pulsante anche all'approssimarsi degli anni '20: un piccolo miracolo, nel quale melodia e tematiche riflessive si stendono su un tappeto sonoro preciso ed avvolgente. Poi (finalmente) si torna a parlare di chitarre in primo piano e ciò è veramente positivo per me: in tempi come questi non è certamente poco se si pensa a cosa sta succedendo oggi in Italia musicalmente. Avere sostanza artistica e fare dei bei soli di chitarra all'interno di un disco indie sembrava diventato fino a pochi mesi fa quasi una chimera, ma Roberto My & co. sono fortunatamente in controtendenza!

Dunque complimenti a Rob e ai suoi colleghi: la dimostrazione che la costanza e la passione vincono sempre. Non importa quanto tempo ci voglia, non importa se ci sono stalli prima di “tornare a vivere” con e nella musica. La determinazione rock porta sempre a ottimi risultati come questi.

Francesco Lenzi