Francesco Motta non è certo un nome nuovo all’interno del panorama musicale italiano. Già frontman dei Criminal Jokers, il giovane livornese è una presenza ricorrente sui palchi del Belpaese viste le collaborazioni illustri con Nada, Il Pan del Diavolo e Giovanni Truppi.

Polistrumentista con il vizio del cantautorato, Motta partorisce nella primavera del 2016 il suo album d’esordio “La Fine dei Vent’Anni”, sotto un’etichetta, la Woodworm, che già conta nel suo roster nomi importanti della scena underground italiana come Fast Animals and Slow Kids, Dente e il già citato Giovanni Truppi; il disco è stato recentemente insignito della Targa Tenco come miglior opera prima del 2016.

Nel complesso, La Fine dei Vent’Anni è un album che fonde un gran numero di sonorità e generi, che oscillano tra la musica etnica, il noise e il cantautorato di stampo più tradizionale, senza farsi mancare alcune sfumature di elettronica.

Si parte con “Del tempo che passa la felicità”, forse il pezzo più bello dell’intero disco, sicuramente quello con cui comprendere al meglio la filosofia lirico-sonora che Motta vuole esprimere. Ci troviamo di fronte a una canzone dal ritmo tribale in cui la voce graffiante ci racconta di una sicurezza perduta, della caduta delle illusioni e della monotonia tipica dell’età, quella fine dei vent’anni, tematica principale di gran parte dell’album.

Ed è proprio “La Fine dei Vent’anni” la seconda traccia, una sorta di inno generazionale dal testo coinvolgente quanto metricamente originale, accompagnato da una chitarra in stile The Smiths.

Si prosegue poi con un’accoppiata più prettamente pop, “Prima o poi ci passerà”, in cui a farla da padrone è il piano elettrico e un ritornello ripetuto a mo’ di mantra, e “Sei bella davvero”, una dolcissima ballata semiacustica dedicata a una donna transgender.

Con il quinto pezzo “Roma Stasera” tornano i ritmi tribali e la voce graffiante di Motta che dedica il pezzo alla Capitale. «Roma stasera, mi prendi dal collo, mi tieni in ginocchio, mi bagni e poi mi lasci per terra»; è un esempio della violenza delle immagini evocate nel disco e, in particolare, in questo brano un po’ etnico e un po’ allucinato, in cui a farla da padrone sono le percussioni e i distortissimi riff di chitarra.

Mio padre era un comunista” è il pezzo più intimista dell’album; in esso, la chitarra acustica accompagna un testo in cui il cantautore trasmette l’amore per i genitori e per le loro importanti lezioni di vita.

Prenditi quello che vuoi” è il pezzo più psichedelico di tutto il disco. Ci troviamo di fronte a un mantra di due minuti e quarantaquattro secondi in cui una base di stampo prettamente africano accompagna la frase «Prenditi quello che vuoi, poi lo dimenticherai».

Se continuiamo a correre” è invece il brano in cui l’impronta noise si fa più evidente, tra dissonanze e distorsioni volutamente esagerate; in particolare, il crescendo finale è un vero e proprio trip uditivo.

Una maternità” è un pezzo sicuramente più rilassato. Torna la filosofia del mantra, una caratteristica ricorrente di questo disco; un ritmo lento e trascinante e un testo ancora una volta ripetuto e un cantato molto attento all’effetto ipnotico.

L’album si chiude con “Abbiamo vinto un’altra guerra”, un pezzo acustico molto orecchiabile il cui testo vuole in un certo modo tirare le somme di quanto appena ascoltato: «Ci taglieranno le mani, ci faranno a pezzetti, con il coltello fra i denti li guarderemo negli occhi. Ci spareranno alle gambe per non farci pensare, noi strisceremo di notte per non farci vedere».

La fine dei vent’anni è un disco che non tutti apprezzeranno a causa del suo sound peculiare, ma che rappresenta senza dubbio una perla rara nel panorama underground italiano, data la particolare cura negli arrangiamenti, ai quali ha collaborato un nome noto come Riccardo Sinigallia, e l’originalità del sound che riesce a fondere generi concettualmente distanti non solo nello stesso album, ma perfino nello stesso brano. L’ascolto è caldamente consigliato, così come la partecipazione a una serata dal vivo (il tour è partito il 19 novembre dal Karemaski di Arezzo), in cui La Fine dei Vent’Anni suona ancora più bello ed ipnotico che mai.

 

Paolo Simi